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Pandemia e capitalismo digitale nel contesto italiano. Gli scioperi nelle piattaforme di food-delivery ed in Amazon

di Riccardo Emilio Chesta e Lorenzo Cini (Scuola Normale Superiore di Pisa)

 

 

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Le recenti mobilitazioni italiane dei ciclofattorini della consegna del cibo delle piattaforme digitali e quelle dei corrieri di Amazon risultano oggi significativamente originali rispetto a due specifici aspetti: a. i settori tecnologicamente innovativi in cui si sono manifestate; b. le peculiari forme di azione e di organizzazione in cui si sono espresse, inizialmente al di fuori dei canali sindacali tradizionali.

Quella dei ciclofattorini delle piattaforme di food-delivery si è sviluppata come una forma di “sindacalismo sociale” dove la costruzione della solidarietà tra lavoratori è stata inizialmente possibile grazie al supporto e alle risorse organizzative di spazi sociali autogestiti e di associazionismo urbano alternativo. Diversamente, quella dei drivers di Amazon è una mobilitazione che nasce dalla spinta di lavoratori che, mentre trovano appoggio e sostegno in organizzazioni del sindacalismo tradizionale, lo spingono a utilizzare la protesta e il conflitto più tradizionalmente inteso (picchetti fuori dalle station, inviti al boicottaggio degli ordini).

Entrambe hanno attirato una notevole attenzione mediatica, intensificatasi con l’espansione dell’e-commerce. Inoltre, la centralità economica delle piattaforme digitali e, soprattutto, dei loro profitti è emersa con forza durante la pandemia.[1]

Sebbene relativamente piccola, l'economia delle piattaforme è una delle aree più dinamiche dell'economia globale e il loro modello si riversa in sempre nuovi settori, trasformando le pratiche di produzione, le condizioni di lavoro e i modelli culturali di consumo. In particolare, l’innovazione degli algoritmi ha trasformato in modo significativo sia la forma della gestione manageriale che l'organizzazione del lavoro, introducendo nuove forme di controllo verticale della forza lavoro, senza entrare in un rapporto di lavoro diretto. Tuttavia, anche in reazione a questi processi di controllo algoritmico sono sorte nuove ed emblematiche mobilitazioni di lavoratori, tra cui quelle dei ciclofattorini del food delivery e dei corrieri di Amazon.

Benché le loro mobilitazioni abbiano finora coinvolto un numero relativamente limitato di lavoratori, il loro significato ha assunto anche un carattere simbolico più generale. La loro visibilità e riconoscibilità ha attivato processi di solidarietà che hanno coinvolto altre categorie di lavoratori precari e in condizione di vulnerabilità sociale. Ciò ha fornito loro una capacità inaspettata di attirare l'attenzione dei media, in parte compensando la loro mancanza di solide strutture organizzative e la deregolamentazione in cui operavano le piattaforme. Con l’ascesa dell’e-commerce durante la pandemia, anche il livello delle mobilitazioni dei lavoratori è andato crescendo nel tempo, aumentando la generalità dei propri contenuti di rivendicazione e delle forme di organizzazione.

 

I  ciclofattorini del food delivery in Italia

Le problematiche specifiche dei lavoratori delle piattaforme del food-delivery erano già emerse a partire dall’estate del 2016 con i primi scioperi dei ciclofattorini a Londra, a cui hanno fatto seguito quelli italiani nell'autunno dello stesso anno, contribuendo con i loro scioperi auto-organizzati nelle città di Torino, Milano e Bologna a far emergere il primo ciclo di mobilitazioni in questo settore. Questi primi scioperi autorganizzati ci dicono infatti che le piattaforme digitali del food delivery e le loro dinamiche di frammentazione e controllo della forza lavoro non sono processi ineluttabili. Questo trend può essere rallentato, se non addirittura rovesciato, se alla controffensiva di mobilitazione dei lavoratori si associano pure strumenti di carattere più istituzionale, come l’intervento legislativo e giudiziario.

A questo ultimo riguardo, recenti sentenze di alcuni tribunali italiani (Torino, Milano e Firenze) hanno infatti evidenziato le elevate condizioni di sfruttamento - ben oltre i limiti della legalità - in cui versavano i ciclofattorini, indicando nell’esistenza di forme di “caporalato digitale” un sistema para-schiavistico. In particolare, già il Tribunale di Milano nel maggio 2020 aveva previsto il commissariamento di alcune piattaforme di food-delivery per “caporalato digitale”, ma le dimensioni della maxi-indagine del 24 febbraio 2021 svelano un vero e proprio deliverygate, dove il “sistema schiavistico” di cui le piattaforme di food-delivery sarebbero responsabili riguarda circa 60 mila rapporti di lavoro. L’inchiesta prevede 730 milioni di euro di multe e coinvolge amministratori delegati, rappresentanti e delegati per la sicurezza di società-chiave nel settore come Uber Eats, Glovo-Foodinho, JustEate Deliveroo.

La costituzione dell’assemblea europea dei ciclofattorini nell’ottobre del 2018 a Bruxelles aveva già anticipato molte delle questioni che sono emerse anche dall’indagine del Tribunale di Milano, come la subordinazione contrattuale contro il lavoro occasionale o a chiamata, il diritto all’assicurazione contro gli infortuni, il diritto alle ferie e malattia. In Italia, le mobilitazioni promosse da circa un anno dalla rete nazionale Rider X i Diritti – sigla che raccoglie sia esperienze di sindacato informale metropolitano che sindacati confederali – in opposizione al contratto “capestro”, firmato da Assodelivery e UGL nell’autunno del 2020, stanno anche puntando a questo livello di rivendicazione. I ciclofattorini italiani contestano in toto il contratto, che non garantisce un rapporto di lavoro di natura subordinata, e rivendicano diritti per tutte/i le/i lavoratrici/ori. Queste le loro richieste: no al cottimo e alle prestazioni occasionali, un monte-ore garantito con paghe orarie agganciate a un contratto collettivo nazionale (che può essere individuato in quello della logistica o del commercio) e il riconoscimento dei diritti dei lavoratori subordinati (come tredicesima, Tfr, congedo di maternità/paternità, ferie e malattia). Da parte della rete Rider X i Diritti, c’è infatti la volontà di portare avanti una controffensiva a livello nazionale in maniera coordinata in tutto il territorio italiano a partire da questo anno.

A tale scopo, nel giorno di venerdì 26 marzo la rete ha organizzato il primo sciopero nazionale dei ciclofattorini italiani, che ha avuto una straordinaria partecipazione di lavoratrici e lavoratori da oltre 32 città, da Nord a Sud, coinvolgendo tutte le piattaforme del settore di food delivery. L’obiettivo di questa campagna di mobilitazione era duplice. Da un lato, c’era la volontà di allargare il fronte delle lotte e soprattutto dell’organizzazione collettiva anche alle piccole e medie città italiane e ai territori più disparati, dove ancora non ci sono state esperienze di mobilitazione. Dall’altro c’era l’obiettivo più ambizioso di coordinare un piano di mobilitazione a livello generale per “sferrare un attacco politico alle piattaforme”[2] e ottenere diritti e concessioni significative da queste aziende.

Lo sciopero sembra aver avuto successo su entrambi i fronti. Mentre i ciclofattorini di diverse città italiane, che finora non si erano mobilitate, si sono unite alla protesta, tre giorni dopo lo sciopero (lunedì 29 marzo) è stato siglato il primo accordo sindacale a livello nazionale tra le parti sociali e Just Eat Take Away Express (multinazionale operante del settore del delivery food), che vede sostanziali vantaggi per i lavoratori stessi. Questo accordo riconosce infatti i ciclofattorrini italiani che lavorano per questa piattaforma come lavoratori subordinati, ossia aventi diritto a tutte le tutele che ne discendono: ferie, malattia, contributi, permessi, mensilità aggiuntive, paga oraria, maggiorazioni, Tfr e così via. Grazie a questo storico accordo si è assistito all’emersione di un numero importante di lavoratori (circa 4000), i quali da adesso non saranno più costretti a firmare contratti di collaborazione autonoma e ad aprire finte Partite Iva pur di lavorare. Inoltre - e nota potenzialmente più importante - anche tutte le altre aziende del settore (fra cui Deliveroo, Glovo, Uber Eats) saranno adesso costrette a confrontarsi con tale accordo, che sarà utilizzato dai lavoratori di queste piattaforme come “benchmark” e minaccia politica reale con cui provare a piegare le piattaforme più riottose.

 

I corrieri di Amazon Italia

Da quando ha aperto il suo primo centro nel 2011 a Castel San Giovanni a Piacenza, Amazon ha esteso la sua attività in tutto il nostro Paese. Un trend che riguarda molti altri Paesi, in primis la vicina Germania, il cuore della logistica europea. E se è proprio dalla Germania che è sorto il primo ciclo di sindacalizzazione dei lavoratori nel 2013[3], anche in Italia i lavoratori hanno iniziato ad organizzare i primi scioperi e le proprie rivendicazioni collettive aumentando capacità organizzativa e generalità delle rivendicazioni. Mentre con la pandemia a livello internazionale emergevano campagne come MakeAmazonPay, in grado di legare le diverse problematiche a vari livelli della catena di produzione Amazon su scala globale (dai lavoratori manuali ai tech workers) con le questioni ambientali e di diritti civili, parallelamente, i lavoratori italiani organizzavano il 22 Marzo 2021 uno storico sciopero nazionale di filiera, il primo al mondo. Per fermare Amazon i lavoratori tornavano a mobilitare il sindacato tradizionale – Filt-Cgil, Filt-Cisl, UilTrasporti - utilizzando forme di lotta tradizionali come i picchetti davanti ai cancelli e i blocchi delle consegne, mentre le principali rivendicazioni aggiornavano questioni tradizionali - ritmi di lavoro, remunerazioni, salute - alle nuove sfide tecnologiche - contrattazione delle rotte algoritmiche, lavoro digitale come appropriazione di dati prodotti dai lavoratori su rotte e consegne, limitazioni alla sorveglianza digitale e diritto alla privacy.

Nel finire del Marzo 2021, anche in Germania i lavoratori Amazon sono entrati in sciopero. Mentre è in corso uno storico processo di sindacalizzazione dei lavoratori in Alabama[4], la multinazionale di Seattle ha dovuto fare i conti anche con un conflitto nel cuore del primo mercato europeo, dove il sindacato Ver.di proclama lo stop per 48 ore in un momento importante per le vendite come quello pasquale. Un evento che ha seguito lo sciopero nazionale italiano, il primo a coinvolgere l’intera filiera di lavoratori, in quello che è il quarto mercato a livello mondiale (dopo USA, UK e Germania).

Se la logistica è da tempo un terreno infuocato, a causa della giungla di subappalti ed illegalità contrattuali, anche nella apparentemente nuovissima Amazon, conflitti e processi di sindacalizzazione erano in corso già da tempo, ed avevano mostrato anche una certa capacità di incidere. In Italia, il primo sciopero del 2017 al magazzino di Castel San Giovanni di Piacenza, mostrava i limiti di un modello che dietro l’aura di innovazione tecnologica, mostrava forme di neo-taylorismo, con intensificazione dei ritmi di lavoro, riduzione dell’attività lavorativa ad esecuzione di protocolli definiti da algoritmi e nuovi processi di automazione non contrattata con organizzazioni sindacali. I lavoratori denunciavano ad Amazon si concretizzasse un’applicazione di processi di razionalizzazione finalizzati ad una efficientizzazione non negoziata con i lavoratori, dove il vecchio principio dello sfruttamento del lavoro conviveva con i più nuovi principi del capitalismo della sorveglianza.

Mentre così nel Novembre del 2017 avveniva il primo sciopero durante il “Black Friday” nel polo piacentino, il ciclo di mobilitazione si estendeva per investire anche altre sedi Amazon, fino a riguardare l’area metropolitana milanese, fulcro della sperimentazione dei primi programmi di consegna Prime. L’area milanese è stata infatti al centro degli investimenti di Amazon che dal 2015 in poi ha aperto sempre nuovi magazzini e station. Proprio in Lombardia, a partire da Milano, si è sviluppato un ciclo di lotte sindacali[5] che mobilitando la Filt-Cgil ha portato così i corrieri o drivers a raggiungere  il primo accordo di filiera nel Settembre 2018, che propone di inquadrare i corrieri nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro della logistica, riconoscendo così il problema dei carichi di lavoro e il diritto all’organizzazione sindacale (tuttavia sempre limitata alle aziende di fornitura, in assenza di Amazon, la vera “testa” della catena). Questo ciclo di mobilitazioni ha anche simbolicamente raggiunto un primo obiettivo di “ricomposizione” di solidarietà tra la forza lavoro proclamando il primo sciopero regionale il 24 Febbraio 2019.

I problemi fatti emergere dai lavoratori hanno riguardato in primis la frammentazione dei subappalti, un’autentica pletora di contratti ed inquadramenti, dall’agro-alimentare al postale, che impediscono un adeguato trattamento economico ed eguali diritti tra drivers che svolgono le stesse mansioni per la stessa azienda-piattaforma, Amazon. Ma anche i carichi di lavoro sono stati oggetto di denunce, in quanto costantemente calcolati su rotte algoritmiche che elaborano rotte e tempi di consegna irrealizzabili, causando un’intensificazione asfissiante dei ritmi per i lavoratori. Ritmi che comportano forte stress psicologico per i drivers e rischi per la sicurezza stradale di lavoratori e cittadini. Realtà che quotidianamente costringe allo svolgimento di straordinari e produce costanti contenziosi riguardanti multe e sanzioni per soste. Le difficoltà a svolgere materialmente le consegne sono dovute anche a piani urbanistici carenti, in città non ancora attrezzate ad accogliere furgoni e mezzi di consegna che mostrano tutti i costi materiali - ed anche ambientali - dell’e-commerce. Tutto ciò è figlio di algoritmi concepiti a monte dall’impresa Amazon che li impone direttamente ai lavoratori senza alcuna forma di contrattazione collettiva. Eppure, l’estrazione automatica dei dati prodotti dai drivers durante l’attività lavorativa costituisce una forma di controllo e di valore importante per Amazon che non discute né i termini di un tale livello di sorveglianza (che poi arriva anche direttamente nelle case dei clienti) né i termini di una eventuale retribuzione di questo  digital labour, ossia di questa ricchezza generata da dati sul lavoro.

La crisi pandemica da Covid-19 non ha fatto altro che radicalizzare le criticità di una situazione che in tempi ordinari si sosteneva sui media pubblici attraverso la promessa occupazionale di un lavoro stabile in una grande impresa protagonista di una nuova modernità tecnologica. L’espansione dell’e-commerce in tempi di pandemia ha portato non solo Amazon a lavorare a pieno regime, ma anche a gestire con difficoltà la questione della messa in sicurezza dei lavoratori.

È così che mentre appena dopo il lockdown Amazon già risultava l’impresa con più guadagni nella pandemia, subito dopo Facebook[6], nasceva una grande campagna internazionale. MakeAmazonPay è stata la prima grande campagna internazionale che ha coinvolto una pluralità di organizzazioni di lavoratori di tutta la filiera in collaborazione con altre organizzazioni transnazionali di solidarietà come Uni Global Union, Amazon Worker International, Public Service International, IndustryALL, l’Athena Coalition e l’International Trade Union Confederation.

Nella richiesta di giustizia e redistribuzione su cui si è fondata la campagna si sono uniti lavoratori manuali del Bangladesh, i tech workers di Seattle, gli operatori del call-center nelle Filippine fino ai lavoratori di magazzino in Europa. Nelle richieste di questa coalizione transnazionale si sono unite rivendicazioni di natura economica e di giustizia sociale, salari e condizioni di lavoro migliori, nonché il diritto all’organizzazione sindacale. A tale appello si sono uniti anche gruppi ecologisti e forze dell’ambientalismo, dagli “Amazon employees for Climate Justice” fino a Greenpeace International e gli Amici della Terra che chiedono il rispetto dell’ambiente e di contribuire alla giustizia climatica. La campagna ha quindi mobilitato forze organizzate della società civile che dalle reti per la giustizia fiscale all’associazione americana di movimento Data 4 Black Lives chiede conto ad Amazon delle violazioni di privacy e di diritti civili e della sua collaborazione con le forze di polizie per costruire strumenti di sorveglianza di massa.[7]

Oltre a tali movimenti a livello internazionale, lo sciopero italiano indetto a livello nazionale lo scorso 22 Marzo 2021 è stato importante perché ha dato un segnale di rivitalizzazione del lavoro in una delle aziende più rilevanti del capitalismo digitale e che usa la logistica come mezzo di estrazione di quello che è il suo core-business, ovvero i dati. La principale fonte di guadagno di Amazon sta nella propria divisione di Web Services dedicata al cloud computing, dove vengono incanalati, gestiti, analizzati e venduti i dati. Quello che emerge da questo ciclo di protesta ad Amazon è che i livelli di mobilitazione e di democratizzazione nel campo digitale sono intrinsecamente interconnessi e mai come oggi i diritti del lavoro si legano con i diritti di cittadinanza.

 

Conclusioni

Le mobilitazioni dei ciclofattorini del food delivery e dei corrieri di Amazon hanno mostrato sia il lato critico dei processi di digitalizzazione e dell’economia di piattaforma, sia quanto il lavoro sia ancora centrale nelle nostre società, e quanto dunque sia necessario rivitalizzare l’azione collettiva sindacale alle mutate condizioni del capitalismo digitale. Da un lato, i lavoratori sono in grado di trovare con i nuovi mezzi digitali nuove forme di comunicazione, di condivisione di bisogni e solidarietà ed anche di conflitto (come è chiaro nei log-off collettivi dei riders del food-delivery al fine di impedire i servizi di consegna). Dall’altro, si sviluppa sempre più un’intersezione tra spazio pubblico e spazio di lavoro. Questo significa che i bisogni dei lavoratori sono sempre più “sociali” e parte integrante di uno spazio che va al di là dei perimetri specifici di un luogo di lavoro, ma investono spazi pubblici - come è evidente nella logistica urbana o di ultimo miglio. Una serie di questioni sindacali si interseca con questioni di gestione e pianificazione urbana che riguardano sia spazi ed infrastrutture - mobilità, trasporti, sicurezza - sia spazi digitali - l’attività di estrazione di dati da parte di piattaforme investe tanto il ciclofattorino o il driver quanto il cittadino-cliente. Il ciclo di mobilitazioni fin qui emerse dimostra queste nuove implicazioni dell’economia digitale e di piattaforma. La questione del lavoro, della redistribuzione, della regolamentazione del mercato si lega al tema dei diritti più in generale e richiede quindi la costruzione di sempre nuove coalizioni ed alleanze tra organizzazioni dei lavoratori, movimenti di cittadini ed istituzioni.


 

Bibliografia

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Chesta, R.E. (2021). A New Labour Unionism in Digital Taylorism? Explaining the First Cycle of Contention at Amazon Logistics. In Klumpp, M., Ruiner, C. (eds.) Digital Supply Chains and the Human Factor. Berlin: Springer.

Cini, L., Goldmann, B. (2020). The Worker Capabilities Approach: Insights from Worker Mobilizations in Italian Logistics and Food Delivery. Work, Employment and Society

Delfanti, A., Frey, B. (2020). Humanly Extended Automation or the Future of Work Seen through Amazon Patents. Science, Technology and Human Values. 20(10), 1-28.

Huws U (2009) The making of a cybertariat? Virtual work in a real world. Socialist Register 37(37), 1–13.

Massimo, F.S. (2020). Burocrazie algoritmiche. Limiti e astuzie della razionalizzazione digitale in due stabilimenti Amazon. Etnografia e Ricerca Qualitativa. 1, 53-78.

Tassinari, A., Maccarrone, V. (2020). Riders on the Storm. Workplace Solidarity among Gig Economy Couriers in Italy and the UK. Work, Employment and Society. 34(1): 35-54

Wood, A.J. (2020). Despotism on Demand. How Power Operates in the Flexible Workplace. Ithaca and London: Cornell University Press.

Woodcock, J., Graham, M. (2019). The Gig Economy. A Critical Introduction. London: Polity Press.

Zuboff, S. (2019). The Age of Surveillance Capitalism. The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power. London: Profile Books.

 


[1] Https://www.forbes.com/sites/jonathanponciano/2020/05/22/billionaires-zuckerberg-bezos/?fbclid=IwAR3MqEtQqHcEHVUKxtdnm8oM-FQkCbEkudvx7Rsg_PWqRxxd0tyt-mi6Pdc#1d8c4de27ed6.

[2]sbilanciamoci.info/i-lavoratori-del-food-delivery-tra-nuovi-conflitti-e-inchieste-per-caporalato-digitale/

[3]www.rosalux.eu/en/article/1558.2nd-edition-the-long-struggle-of-the-amazon-employees.html

[4]www.theguardian.com/technology/2021/mar/30/amazon-union-vote-count-alabama-workers

[5]www.officinaprimomaggio.eu/conflitti-nel-taylorismo-digitale/

[6] Https://www.forbes.com/sites/jonathanponciano/2020/05/22/billionaires-zuckerberg-bezos/?fbclid=IwAR3MqEtQqHcEHVUKxtdnm8oM-FQkCbEkudvx7Rsg_PWqRxxd0tyt-mi6Pdc#1d8c4de27ed6.

[7]www.theguardian.com/commentisfree/2020/nov/27/black-friday-global-coalition-amazon-jeff-bezos-workers-planet