Discussioni #11
Mario Grassi discute:
Anna Bellavitis, Valentina Sapienza,
Apprenticeship, Work, Society in Early Modern Venice,
Routledge, 2023.
Come citarci: M. Grassi, Apprenticeship, Work, Society in Early Modern Venice, di Anna Bellavitis, Valentina Sapienza, Sito della Società Italiana di Storia del Lavoro, 24 luglio 2024, www.storialavoro.it/discussioni-11/
Negli anni a cavallo tra Otto e Novecento, in una località egiziana denominata Ossirinco a sud del Cairo, una spedizione di egittologi di Oxford rinvenne un’ingente mole di manoscritti su papiro, mantenuti intatti grazie alle particolari condizioni atmosferiche del luogo. Tra poemi di Pindaro, Saffo e Alceo e frammenti di drammi e vangeli, furono rinvenuti anche documenti pubblici e privati. Grazie ad essi, sappiamo che nel 62 a.C. un tessitore dichiarava di aver mandato il figlio Pausiris, minore d’età, ad apprendere la professione da Epinikos, e di conseguenza chiedeva che venisse registrato tra gli apprendisti della città, “come si conviene”. Non è questa la testimonianza più antica di apprendistato, ma è la testimonianza con cui Bellavitis e Sapienza aprono il libro Apprenticeship, Work, Society in Early Modern Venice, sottolineando con sorpresa la quantità di affinità esistenti tra contratti d’apprendistato nell’Egitto tolemaico e quelli redatti, a millenni di distanza, dai notai in Europa.
Apprenticeship, Work, Society in Early Modern Venice nasce dal progetto “GAWS Project – Garzoni. Apprenticeship, Work, Society in Early Modern Venice”, avviato nel 2014 grazie ai finanziamenti della Agence Nationale de la Récherche e del Fond National Suisse de la Récherche. Il libro raccoglie i frutti di uno studio durato anni, capace di analizzare fino al midollo una fonte archivistica di particolare interesse: gli accordi dei garzoni della Giustizia Vecchia di Venezia, un fondo composto da oltre 54000 contratti d’apprendistato redatti tra Cinquecento e Settecento, ora schedati in un database a disposizione dei ricercatori. Si tratta evidentemente di un progetto ambizioso, condotto con una metodologia all’avanguardia in grado di conseguire risultati innovativi in numerosi settori storiografici. La decisione di focalizzare la ricerca su Venezia, pur essendo dipendente dalla sopravvivenza di questa fonte unica nel suo genere, riveste un ruolo di assoluto rilievo. La città sull’acqua, campo d’indagine privilegiato, rappresenta infatti un caso di studio particolarmente interessante per l’antico regime, alla luce del peso della Serenissima nel panorama internazionale d’età moderna in tema di movimenti di persone, tecniche e merci, sia a breve che a lunga distanza, nonché per il suo particolare assetto politico-istituzionale.
Tradizionalmente, lo studio dell’apprendistato è legato alla ricostruzione delle dinamiche corporative. Un campo storiografico al centro della ricerca da decenni, arena di accesi dibattiti finalizzati a comprendere il ruolo socio-economico dell’associazionismo di mestiere nel passato. Basti pensare al peso intellettuale che hanno avuto e che continuano ad avere oggi il “Return of the guild” teorizzato da Lucassen, De Moor e Van Zanden; l’acceso dibattito tra Epstein e Ogilvie sul peso delle corporazioni nello sviluppo economico; le prospettive di ricerca proposte da Prak e Wallis, che tra le altre cose hanno messo in luce punti di rottura e punti di continuità tra la corporazioni d’età moderna e il mondo contemporaneo; la rivalutazione della presenza delle donne nelle corporazioni, messa in risalto con maestria dagli studi di Groppi, Hafter, della stessa Bellavitis; l’accento recentemente posto da Nieto Sánchez, Romero Martin e Ferrer Alòs sulla necessità di ripensare al valore delle corporazioni nella gestione della disuguaglianza sociale. Questi contributi hanno favorito una migliore contestualizzazione del fenomeno, andando al di là dello stereotipo ereditato dalla tradizione novecentesca: mettendo in evidenza l’esistenza di elementi trasversali nello spazio e nel tempo, hanno distinto dinamiche locali ed eccezioni e hanno messo in dubbio la rilevanza di elementi ritenuti caratteristici di queste istituzioni, come, ad esempio, l’unità corporativa.
La lettura degli accordi dei garzoni apre ai ricercatori interessantissimi panorami metodologici che, se messi in pratica con altrettanta acribia, pazienza e apertura intellettuale, permetteranno di affrontare questioni che da decenni sono al centro della storia sociale ed economica. La proposta metodologica del gruppo di ricerca del GAWA project, infatti, offre una risposta quantitativa alle numerose ricerche basate su fonti qualitative che, negli ultimi decenni, hanno favorito lo sviluppo di una storiografia inclusiva, tesa a superare la tradizionale esclusione della conoscenza relativa a determinate categorie sociali. Le evidenze emerse dal progetto entrano a gamba tesa nel dibattito storiografico, risollevando la questione dell’interpretazione quantitativa dei fenomeni sociali, che recentemente hanno prodotto stagnanti dibattiti di giustificazione metodologica, più che effettivi apporti alla materia – di cui i toni della recente schermaglia tra Allen e Humphries/Schneider sono una chiara testimonianza.
Il libro edito da Bellavitis e Sapienza, pur trattando giocoforza di corporazioni, si muove però su altri binari, andando ben al di là del limite interpretativo imposto dall’esistenza di tali istituzioni e abbracciando a tutto tondo il mondo del lavoro nella Venezia d’antico regime. Fondamentale, in questo senso, è il contributo d’apertura di Bellavitis, da cui emerge con chiarezza come affrontare il tema dell’apprendistato significhi confrontarsi con argomenti quali il legame tra età e formazione, il lavoro femminile e il suo rapporto con il diritto, il tema dell’autorità patriarcale e del suo rapporto con il ricorso alla violenza nell’educazione, il nesso tra tecnica, tecnologia e formazione. L’apprendistato, infatti, si dimostra una tipologia di contratto estremamente flessibile e strettamente dipendente dal contesto (personale, sociale, istituzionale), che per millenni ha ricoperto un ruolo di primo piano nell’introduzione dei giovani al mondo del lavoro. In questi termini, la formazione professionale è stata e resta un rilevante problema sociale, intrinsecamente connesso con il tema dei diritti, in particolare, all’educazione e alla salute – basti pensare alle tristemente note vicende che recentemente hanno coinvolto gli studenti nel corso di progetti di alternanza scuola-lavoro in Italia, causandone la morte e aprendo un dialogo sul risarcimento alle famiglie.
L’iniziale panoramica sul tema è affiancata da un contributo sulle botteghe degli artisti di Hochman, che aggiunge all’elenco la necessità di andare oltre le narrazioni legate all’immagine stereotipata della formazione di artisti e pittori. Quella di Hochman è una prospettiva capace di cambiare la percezione dell’arte nel mondo preindustriale riportandola alla sua dimensione professionale.
La presentazione dei temi al centro del volume trova, nei contributi raccolti nella seconda sezione, lo strumento per raggiungere tali ambiziosi obiettivi, dimostrando come una storia che faccia dialogare dimensione quantitativa e qualitativa sia possibile, dando istruzioni puntuali su quali siano stati i passaggi che hanno portato alla realizzazione di questo database. Nonostante sia necessario sottolineare che l’esistenza di fonti seriali come quelle a disposizione per gli apprendisti veneziani sia un’eventualità più unica che rara, ciò non significa che questo modello non possa essere riproposto in altri ambiti, in altri periodi, in altre zone geografiche. Questa seconda parte è un vero e proprio manuale per riprodurre l’esperimento, una guida che non tralascia di mettere in evidenza l’esistenza di limiti e problemi analitici – che tuttavia, una volta individuati, sono stati affrontati con solide giustificazioni dal team. Il lavoro del gruppo di ricerca, come emerge dal saggio di Ehrmann, Topalov e Kaplan, ha concentrato diverso tempo nel rendere il database utile, utilizzabile e replicabile. Il successo di questa metodologia risiede nel non dare nulla per scontato (nemmeno i nomi delle località) e nel rendere categorizzabili i dati mantenendone l’unicità.
Ciò significa porsi domande quali: come va affrontata una testimonianza archivistica, scritta a mano, in veneziano? Come usare le definizioni trascritte dagli scribacchini della Giustizia Vecchia? Come rendere questi dati comparabili? Cosa si può nascondere dietro a un errore grammaticale, a una consonante mancante, a un caso di omonimia? I contributi di Zugno e Cossu sono interamente incentrati sulla necessità di categorizzazione e normalizzazione dei record, presentando un eccellente esempio di critica sociolinguistica dei documenti - elemento centrale che sta alla base di rilevanti esperienze precedenti nel campo delle digital humanities, come il ricorso ad uno spoglio delle fonti verb oriented usato da Ogilvie e Ågren per studiare il lavoro femminile in antico regime. Attraverso la dettagliata ricostruzione del ragionamento logico che fa da substrato alle decisioni prese dal team di lavoro, i ricercatori evidenziano la possibilità di rendere omogenee alcune definizioni e, al contempo, la necessità di lasciarne altre nella loro forma originale. Questo punto di vista ha il potenziale intrinseco di non ridurre a categorie stagne le professioni emerse dalla ricerca, rendendo questo database ricco di potenziale per superare un approccio all’argomento filtrato attraverso le lenti del settore produttivo. L’applicazione di questa metodologia permette di riconsiderare la visione, spesso strettamente legata alle fonti corporative, del lavoro in antico regime – cosa comune nelle ricerche in particolare in ambito veneziano dove, come rilevato da Mocarelli e Caracausi, si attesta il maggior numero di corporazioni in età moderna. Del resto, come ben dimostrano i casi di “garzoni” dei “mastri orbi”, questi contratti superano i limiti delle arti e dei mestieri, occupando in un compito di cura giovani, spesso orfani di padre, che non avevano ancora raggiunto un’età adeguata per entrare in una bottega come apprendisti. Ciò permetteva ai giovani di dare un apporto economico alla famiglia ante-apprendistato, un elemento che, se non fosse per questo studio, sarebbe rimasto pressoché ignoto. Inoltre, l’analisi di Cossu sui luoghi citati nei contratti aggiunge un punto di vista innovativo per quanto riguarda lo studio della geografia delle provenienze dichiarate nei contratti. In particolare, i nomi usati dalle fonti si rivelano capaci di rimettere in gioco le definizioni di temi centrali per la ricerca, quali l’identità e la cittadinanza, attraverso il ricorso alla toponomastica. In questo contesto, la ricerca sociolinguistica si dimostra fondamentale per evidenziare i processi di stratificazione linguistica e culturale subita dai nomi di luoghi e di località, portando un originale contributo interdisciplinare alla ricerca.
Chiude questa seconda parte del libro lo studio prosopografico relativo alla descrizione dei dati raccolti nel database e la composizione del campione degli apprendisti. Applicando una metodologia prettamente quantitativa, Bellavitis e Sapienza dimostrano come l’interrogazione del database permetta ai ricercatori di contribuire alla ricerca sociale ed economica su temi quali età, genere, migrazione, salari, tempo del lavoro nella piena età moderna, evidenziando anche alcuni elementi innovativi, come la crescita dei salari nella seconda metà del Seicento – tendenza che non trova una spiegazione in questa sede, ma che dimostra la potenzialità del database nel porre domande sul futuro della ricerca.
L’approfondito intermezzo metodologico è seguito da una raccolta di saggi che passano ad analizzare l’evoluzione delle leggi sull’apprendistato a Venezia (Erboso) e a presentare alcuni casi di studio che dimostrano le innumerevoli possibilità analitiche che possono scaturire dalla ricerca storiografica attraverso questo strumento (Fiorucci, Pompermaier, Cossu e Spienza, Stopper). È in quest’ultima sezione che alcuni dei temi a cui abbiamo fatto riferimento emergono con forza, presentando inedite evidenze capaci di mettere in dubbio le tradizionali posizioni riguardanti l’apprendistato europeo. Ciascuno dei casi di studio è legato agli altri da un leitmotiv: la nuda fonte, dopo essere stata interrogata sulla base di un questionario di ricerca ragionato ed essere entrata a far parte di un database quantitativo, non perde le sue peculiarità intrinseche e quindi assume un ruolo fondamentale nel far dialogare macro e micro. Questi saggi hanno il pregio di dimostrare come la ricerca bottom-up possa beneficiare di una metodologia come quella applicata in questo contesto, permettendo di approfondire, tra gli altri temi, anche le dinamiche istituzionali di negoziazione e di enforcement delle leggi, avallando la posizione di Braudel secondo cui “réalités dites économiques [e, aggiungiamo noi, sociale], entre xve et xviiie siècles […] cadrent mal, ou même pas du tout, avec les schémas traditionnels et classiques”.
In conclusione, Apprenticeship, Work, Society in Early Modern Venice costituisce una base imprescindibile per le future ricerche sulle corporazioni e sul lavoro, uno strumento per ripensare il legame tra dato qualitativo e ricerca quantitativa, una guida per affrontare in maniera coerente e proficua la ricerca d’archivio, proponendo un ritorno alle fonti per osservare con nuove lenti le variabili economiche, politiche e sociali che, come hanno dimostrato i contributi al volume, dialogano a più livelli. Il libro, come si può ben intendere, non è un punto d’arrivo, anzi: gli autori dei saggi pongono una serie di nuove domande che saranno centrali nei prossimi contributi sulla storia sociale, economica, del lavoro, delle corporazioni, di genere, dell’età, della formazione, della tecnica e, perché no, di altri campi marginali rispetto al mondo del lavoro. Chissà se la sofisticata metodologia usata per affrontare questa poliedrica fonte sarà in grado di raggiungere altri settori di ricerca, come ad esempio gli studi classici o l’archeologia, riuscendo a far luce sulle numerose lacune esistenti riguardo alla formazione professionale e all’organizzazione del lavoro nel corso della storia.
Mario Grassi
Yale University
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