Carbone e guerra fredda. Selezione e controllo politico dei migranti italiani in Belgio nel secondo dopoguerra (1946-1956), di Giada Baldi
Collana: Saggi
Per sostenere lo sviluppo di nuove ricerche sui temi della storia del lavoro, la SISLav ha istituito nel 2016 un premio biennale intitolato alla storica Simonetta Ortaggi, scomparsa nel 1999, studiosa e autrice di alcuni tra i più importanti e sistematici studi italiani di storia del lavoro. Il premio consiste nella pubblicazione di una tesi di dottorato inerente temi di storia del lavoro, senza alcun vincolo, né di natura cronologica né territoriale, circa l’argomento oggetto della tesi.
Il volume di Giada Baldi, pubblicato grazie alla vittoria dell'edizione 2020 del premio, affronta l’emigrazione italiana verso il Belgio. Questa ha raggiunto la massima intensità nel secondo dopoguerra, tra il 1946 e il 1957, in una fase della storia nazionale contrassegnata dalla cosiddetta emigrazione assistita – “consistente in una disciplina concordata dei flussi emigratori, predeterminati in qualità e quantità e attuati con il concorso tecnico, organizzativo e finanziario dei paesi interessati” – di cui costituisce probabilmente il caso più paradigmatico. Il 23 giugno 1946, con la stipula a Roma di un Protocollo d’intesa, Italia e Belgio crearono infatti le condizioni per la partenza, negli anni a seguire, di un flusso di manodopera italiana alla volta delle miniere di carbone belghe. Nello specifico, l’accordo stabiliva che il Belgio avrebbe accolto 2.000 lavoratori italiani alla settimana, prevedendo un tetto massimo di 50.000 persone. Ogni 1.000 immigrati, il Pays Noir avrebbe dovuto vendere all’Italia tra le 2.500 e le 5.000 tonnellate di carbone, a seconda del proprio tasso di produttività (condizione dalla quale derivò l’espressione polemica ‘ci hanno venduti per un sacco di carbone’, diffusa tra i minatori italiani in Belgio).
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