Il contributo di Andreina De Clementi
di Stefano Musso
Andreina De Clementi è stata, assieme a Franco Ramella, tra gli storici italiani contemporaneisti che più hanno contribuito all’affermarsi della storia sociale del lavoro e al suo affinamento metodologico. La stagione aurorale della storia del lavoro in Italia, al passaggio tra anni Sessanta e Settanta, era stata caratterizzata dalla critica di Stefano Merli alla lettura comunista dell’arretratezza della borghesia italiana che assegnava alla classe operaia il compito di modernizzare e democratizzare il Paese; la critica si estendeva all’impostazione storiografica che privilegiava le strategie dei leader del movimento operaio. Merli collocava lo sviluppo capitalistico già negli anni Settanta dell’Ottocento, con la formazione della grande fabbrica e la nascita del proletariato industriale, composto in larga parte di donne e minori nell’industria tessile, scarsamente inquadrati nelle nascenti organizzazioni operaie di derivazione artigiana ma capaci di sviluppare spontaneamente il conflitto industriale.
Nonostante la diversa visione degli stadi di sviluppo capitalistico, sia gli storici legati al partito comunista sia la giovane generazione che faceva riferimento a Merli guardavano al modello di industrializzazione inglese, i primi sottolineando le tare del capitalismo italiano, la seconda studiando la grande fabbrica alla ricerca della classe operaia matura e consapevole, con uno sguardo che considerava l’esistenza di strati proletari instabili, che alternavano occupazioni agricole e industriali, come un residuo destinato a essere superato dallo sviluppo.
In tema di formazione della classe operaia, fu Andreina De Clementi, a metà del decennio Settanta, a offrire un’immagine più complessa e realistica del mondo del lavoro agli albori dell’industrializzazione, spostando l’attenzione dalla grande fabbrica ai processi di proletarizzazione nelle campagne e ai movimenti migratori connessi alla crisi agraria di fine Ottocento[i]. Mentre nello stesso periodo Ramella sosteneva, sulla base dei suoi studi sul Biellese e proprio sulla rivista fondata da Merli, la necessità di superare l’attenzione esclusiva alla domanda nella formazione del mercato del lavoro industriale, proponendo di considerare i fattori da offerta legati alle configurazioni delle comunità agricole e alle strategie delle famiglie nell’allocazione delle proprie forze[ii], De Clementi tracciava un quadro convincente della realtà del mondo del lavoro italiano, della formazione del mercato del lavoro urbano, con le contrapposizioni tra gli operai di origine artigiana e le masse di ex contadini disposti ad accettare salari infimi, che formavano una manodopera generica precaria e instabile, caratterizzata dalla presenza intermittente sul mercato del lavoro, dalla pluriattività e dalla forte mobilità residenziale[iii]. La storia della classe operaia veniva collegata alla storia della famiglia e delle migrazioni, in quanto lo sviluppo capitalistico non rendeva irrilevanti le reti di relazione, al centro delle quali, così come nell’organizzazione della vita familiare, emergevano prepotentemente le donne e i ruoli di genere. Si superavano così gli approcci variamente operaisti di molti giovani epigoni di Merli, che sull’onda della conflittualità e della centralità operaia degli anni Settanta avevano promosso una “storia dal basso”, incentrata esclusivamente sulla fabbrica e sui momenti alti della lotta operaia.
Nel progettare il volume di storia del lavoro nella prima metà del Novecento, in tema di formazione del proletariato industriale ho dunque immediatamente pensato ad Andreina, tenuto anche conto che intendevo chiedere a Franco Ramella e alla sua collaboratrice Anna Badino un contributo relativo alle ricerche innovative che stavano conducendo sui movimenti migratori interni nel secondo dopoguerra. Fortunatamente Andreina accettò, e si mise al lavoro con la consueta intelligenza e serietà, producendo la sintesi interpretativa di alto valore che si può qui rileggere, incentrata sulla dimensione di genere, la protoindustria, il lavoro a domicilio, la fabbrica, la realtà sociale e i modelli culturali, le strategie migratorie, le strategie imprenditoriali che hanno influito sulla configurazione della composizione operaia, il tutto in un quadro di cinquant’anni di storia. L’ampiezza dello sguardo dimostra che il contributo di Andreina al passaggio dalla “storia dal basso” alla storia sociale non ha portato, come in altri casi, a buttare il bambino con l’acqua sporca, indirizzando l’individualismo metodologico ad espungere dall’analisi la politica e le strategie collettive[iv]. Proprio nella capacità di penetrare le interconnessioni tra società, cultura e politica sta il pregio del lavoro di Andreina De Clementi.
[i] A. De Clementi, Appunti sulla formazione della classe operaia in Italia, in “Quaderni storici”, a. XI, 1976, n. 32.
[ii] F. Ramella, Il problema della formazione della classe operaia in Italia, in “Classe”, n. 10, 1975.
[iii] A. De Clementi (a cura di), La società inafferrabile. Protoindustria, città e classi sociali nell’Italia liberale, Roma, Edizioni lavoro, 1986.
[iv] Il riferimento d’obbligo è G. Eley, K. Neild, Why Does Social History Ignore Politics?, in “Social History”, vol. 5, n. 2, 1980. Per una critica italiana di quel passaggio, N. Gallerano, Fine del caso italiano? La storia politica tra “politicità” e “scienza”, in “Movimento operaio e socialista”, a. X, 1987, n. 1- 2.